Paola Perego è entrata nello studio di Diletta Leotta, ospite del suo podcast Mamma Dilettante. La famosa conduttrice ha parlato della sua vita privata, svelando dettagli molto intimi e dolorosi. Un faccia a faccia sincero e toccante.
Il rapporto con i figli
Mostrarsi come una donna “Wonder Woman” non è stata una strategia giusta nei suoi stessi confronti. Paola Perego ha usato questa particolare espressione, descrivendo il suo rapporto con i figli. Ha sempre interpretato quel ruolo, tentando di sostenere l’atroce standard di donna indistruttibile: “Non ci sono problemi. Siamo sempre allegri e stiamo sempre bene”.
Tutto è cambiato, però, dopo aver incontrato uno psichiatra. Un professionista geniale, lo descrive la conduttrice, in grado di aprirle gli occhi e mostrarle una prospettiva ignorata per anni.
“Si ricordi che se lei si mostra sempre così, i suoi figli non potranno mai permettersi di mostrare la tristezza, perché non la conoscono. Loro invece devono conoscere le sue fragilità, perché soltanto in questo modo potranno esprimerle a loro volta”.
Rientra pienamente in questo personaggio proposto ai suoi figli anche l’essere “easy”. Al tempo stesso, però, l’ansia aveva la meglio e così ha fatto seguire suo figlio. Qualcosa che non ha mai confessato:
“Quando era adolescente, l’ho fatto seguire da due guardie del corpo. Mandai due ragazzi sulle sue tracce, perché iniziava a uscire il sabato e volevo capire se si drogava. Non gliel’ho mai detto ma ormai è in prescrizione”.
Farmaci e attacchi di panico
È dunque cambiato tutto dopo questo incontro. È mutato il suo atteggiamento in casa. Un’altra svolta è però giunta con la pubblicazione del suo libro. È stato infatti un modo per consentire ai suoi figli di varcare una soglia fino a quel momento invisibile: “Hanno capito una serie di miei fragilità e ne abbiamo parlato”.
È stato liberatorio, ha detto a Diletta Leotta. Come detto, una prospettiva differente sulla vita. Quando si è giovani e in carriera si sente il peso di dover piacere: “Io ero quella che gli altri volevano che fossi, nonostante gli attacchi di panico”.
L’unico per riuscire a lavorare in quel periodo era attraverso il consumo di farmaci. Erano questi a tenerla in piedi, consentendole di uscire di casa e “funzionare”. Non aveva però modo di fare altro, perché non si stava prendendo cura di sé. Il suo mondo era il lavoro e per il resto stava chiusa in casa.
“Avevo questo senso del dovere fortissimo. Inizialmente perché dovevo mantenermi e mangiare. In seguito, invece, per quel senso del lavoro che mi ha trasmesso mio padre, per cui tu puoi anche morire, ma al lavoro ci devi andare. Riuscivo a farlo con farmaci e l’aiuto dei medici. Sei però sempre un po’ ovattata, appannata, perché quelle medicine ti bloccano le emozioni, oltre agli attacchi di panico. Dicevano allora che ero fredda e distaccata. Prova a prendere quello che prendevo io, poi ne riparliamo”.