Chi ha visto andarsene per sempre una persona cara sa bene che il dolore richiede tempo. E sa anche che il dolore lo accompagnerà sempre. Così come resterà sempre il ricordo di chi ha amato. Domenico, il marito di Paola Marella, per tenere viva la memoria di Paola e trasformare la sua mancanza in qualcosa di buono, ha annunciato qualche settimana fa la nascita della fondazione a lei dedicata.
Ci parla di lei al presente, perché Paola se n’è andata da questa terra il 21 settembre 2024, a 61 anni per un tumore al pancreas. Ma allo stesso tempo Paola c’è ancora, è nelle parole di Domenico con i suoi inconfondibili ciuffi di capelli bianchi, la sua eleganza, la sua professionalità, il suo buongusto, i suoi colorati gioielli di bigiotteria. Il suo essere un’amica presente, una mamma affettuosa innamorata di suo figlio. La prima domanda d’obbligo è chiedergli come sta, e la risposta dice tutto: «Ci vuole coraggio».
Da dove nasce l’idea della Fondazione Paola Marella? Arriva da Paola?
No, l’idea è partita da me e da mio figlio Nicola. Insieme a lei abbiamo vissuto in prima persona gli sforzi e le difficoltà di reperire informazioni su quello che può offrire la medicina ai malati di tumore al pancreas. La prima informazione che le persone colpite da questo male ricevono, è che moriranno. Noi ci siamo dati da fare per cercare, in rete ma non solo, fonti diverse, e approfondire. Un lavoro immane, tanto che io ho abbandonato il mio lavoro per dedicarmici. Mi rendo perfettamente conto che non tutti possono permettersi di farlo.
Cosa succede dopo la diagnosi?
Come prima cosa i malati vengono portati in chirurgia e poi solo chi ha i mezzi può sperare, perché va ricordato che le possibilità di guarigione sono basse. Per affrontare un tumore al pancreas servono i mezzi, che non sono solo di tipo economico, ma serve anche il tempo. Finché c’è stata Paola questo lavoro lo abbiamo fatto insieme: ora mi ci dedico io, con il supporto di persone amiche. Il desiderio è quello di trasferire la nostra esperienza a più persone, ai malati, ai care giver, ai medici. Tengo a dire che i care giver hanno addosso una pressione incredibile in casi come questi, perché hanno la consapevolezza di accompagnare chi non ha futuro, e vi assicuro che non è una cosa facile. Io stesso non sono stato supportato, mi sono supportato da me. Affrontare questo tipo di malattia è davvero dura, a volte porta le famiglie a disgregarsi.
Cosa serve in primis?
Informazioni. Paola è stata seguita fin dal principio dal San Raffaele di Milano. Dopo la scoperta della malattia ci siamo rivolti a tutti i centri specializzati possibili, facendo una ricerca a 360 gradi. Ha affrontato anche una cura sperimentale negli Stati Uniti, a Huston. Siamo stati a New York, in Spagna, in Germania. Non abbiamo guardato fuori dall’Italia perché siamo esterofili, ma perché nel nostro Paese mancano i numeri, mancano le infrastrutture che possano accompagnare malati e famiglie in questo percorso. I farmaci in Italia vengono approvati in ritardo rispetto agli altri Paesi. Faccio l’esempio di un medicinale innovativo, approvato dall’Unione Europea nel 2019, in Italia è stato dato il via libera nel 2023, ben quattro anni dopo. E allora cosa si fa? Lo si compra all’estero. Sono nate le Pancreas Unit negli ultimi anni, ma c’è ancora molto da fare.
Collaborate insieme ad altre associazioni?
Sì, con il Codice Viola, da anni impegnata a migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti affetti da adenocarcinoma del pancreas: mogli, mariti, genitori, parenti.
Come ha scoperto la malattia sua moglie?
Nel 2011 aveva affrontato e sconfitto un tumore al seno. Il tumore al pancreas lo ha scoperto facendo un’ecografia. L’ecografista ha notato una macchiolina, e per scrupolo le ha suggerito di approfondire, sicuro che non sarebbe stato nulla di che. E invece no, quel 16 dicembre quando è arrivata la diagnosi ha passato le cinque ore più brutte della sua vita. Era da sola in quel momento. Ma l’umanità e l’assistenza dei medici del San Raffaele è stata assolutamente fantastica, ringrazierò sempre l’equipe del professor Falconi, del prof Reni e del prof Esposito. Il 24 dicembre abbiamo fatto la visita dall’oncologo e il 31 dicembre ha cominciato la prima chemioterapia.
Ha lasciato un bellissimo ricordo nelle persone che hanno lavorato con lei. Che persona era Paola?
Era semplice, chiara, a volte anche dura. Paola non era mondana, a parte gli eventi di lavoro non era una che amava andare alle feste e agli eventi. Era attenta, rigorosa. Anche nella malattia. Le amiche la chiamavano al telefono e le chiedevano “Ma come fai?”.
Come ha affrontato la malattia?
Ha continuato a lavorare, molti non sapevano che fosse malata. Paola era un centro di ascolto, quotidianamente si spendeva per dare forza agli altri, sempre col sorriso. Perché questo ci siamo detti noi come famiglia, quando abbiamo iniziato ad affrontare insieme la malattia: non bisogna piangersi addosso, ma sorridere. Ridere no, quello viene difficile, ma sorridere sì. Abbiamo fatto il massimo, ci siamo goduti la vita seppur nei vincoli della malattia.
Lei continua a tenere vivo il suo Instagram
Sì, io e Nicola abbiamo scelto di tenere aperti i canali social e finora i risultati ci stanno dando ragione perché abbiamo perso solo il 10% degli utenti. Certo, abbiamo una comunicazione diversa, lo facciamo in punta di penna: Paola mi farebbe secco altrimenti! Lei era così, aiutava tutti quelli che poteva. Adesso sono supportato da amici cari che si occupano di comunicazione e spettacoli. A maggio faremo un evento a Milano, su tema beneficenza, moda e design. E dato che abbiamo avuto molte richieste, più avanti metteremo all’asta le cose di Paola, e il ricavato supporterà la fondazione. Paola non ostentava, non aveva per esempio gioielli di valore, amava la bigiotteria, ma aveva creato un suo stile personale nel vestire.
Che mamma è stata?
Una mamma severa ma fantastica. Io ho viaggiato molto all’estero per lavoro, e sono stato fortunato perché c’era lei a seguire nostro figlio Nicola. A lui ha saputo trasmettere i valori in cui credeva. Paola era rigorosa e affettuosa. Prima di tutto c’era suo figlio, poi c’era suo marito (ride, ndr). È stato molto doloroso per lei non riuscire ad esserci al suo 30mo compleanno.