C’è un silenzio che urla, nella villetta di via Toscana, a Racale, nel basso Salento, è il silenzio che rimane dopo che una madre viene uccisa da suo figlio, un silenzio irreversibile, che non si può spiegare. Non c’era una lite furiosa, non c’erano minacce pregresse. Solo una madre al computer, in smart working, e un figlio che non voleva più sentirla parlare. Filippo Manni, 21 anni, studente universitario a Roma, è sceso con un’accetta ornamentale da boy scout e ha colpito al capo la madre, Teresa Sommario, 52 anni. Poi ha distrutto anche il suo pc. «Perché parlava», ha detto durante l’interrogatorio. Non un urlo, non una lacrima, quelle sono arrivate due giorni dopo, sul momento solo parole fredde, dette come se stesse raccontando un film. «Mi si è spento tutto. Altre volte gliel’avevo detto per scherzo. E oggi l’ho fatto.»
Dopo averla uccisa, Filippo ha vagato per le strade. Voleva andare a fare il bagno al mare, oppure passare al cimitero dalla nonna, lo hanno fermato i carabinieri, a torso nudo, in stato confusionale. Teresa Sommario lavorava da vent’anni nell’ufficio acquisti della CNH Industrial di Lecce, era una donna amata da tutti, raccontano i colleghi: abbracciava ogni mattina chi incrociava, per stemperare l’ansia del giorno, mostrava le foto dei figli con orgoglio. Era madre di tre ragazzi: Filippo, e due gemelli che tra un mese compiranno 18 anni. Da poco il Manni aveva fatto ritorno nel Salento per la festa patronale di San Sebastiano, negli ultimi giorni aveva iniziato a lavorare anche come bagnino, e proprio il padre di Filippo lo aveva riaccompagnato a casa poche ore prima del massacro.
Non c’era un movente “forte”, solo la somma di piccole cose: l’incidente in macchina, qualche ramanzina, una discussione sull’università, il desiderio del ragazzo di mollare Economia per studiare musica. Una madre che cerca di tenere insieme tutto, anche quando i figli diventano grandi, un figlio che a un certo punto spezza tutto, a colpi d’ascia, l’intera comunità di Racale è sotto shock, ma il dolore non basta, serve anche pensare. E servono parole forti, quelle che ho provato a mettere nero su bianco.
C’è qualcosa di talmente sconvolgente in questa storia che faccio fatica a scriverla, perché non è solo la morte di una madre, è uno specchio, e in quello specchio, ci vediamo tutti. Sì, è vero: non è la prima volta che un figlio uccide un genitore: Novi Ligure, Erika e Omar, anche se la figlia era solo lei. Poi c’era Pietro Maso, quello che, dopo aver massacrato i suoi genitori con gli amici, se ne andò in discoteca. Oggi è un uomo libero, si è sposato, e le sue sorelle hanno dovuto chiedere ancora una volta protezione. Le storie si ripetono, e fanno sempre più male, ma questa, questa ha qualcosa di ancora più disturbante. Una madre che lavora in smart working, riprende il figlio perché non l’ha salutata, lui scende le scale, prende un’accetta da scout e la colpisce in testa. Poi spacca anche il computer, perché “parlava”.
E sapete cos’è che mi fa ancora più male? Leggere commenti , anche di professionisti, psicologi, che dicono: “Pensate quanto dolore doveva avere questo ragazzo dentro, non visto da nessuno.” Ecco, è lì che mi sale la rabbia, perché questa frase, detta con aria da sapienti, sposta la colpa sulla madre, come se fosse stata lei a sbagliare, come se, alla fine, se la fosse anche un po’ cercata. Ma che discorso è?
Cioè: vengo uccisa con un’accetta da mio figlio, in casa mia, mentre sto lavorando, e il problema divento io, perché “non l’ho capito”? Teresa era una madre, tre figli, lavoro, ramanzine, come tutte le madri del mondo, disordine, auto incidentata, mancati saluti, scelte di vita da discutere, vita normale, quotidiana, di milioni di famiglie. Solo che Filippo ci pensava da tempo, non è stato un raptus. Lo ha detto lui stesso al magistrato: “Gliel’avevo detto per scherzo e oggi l’ho fatto.”
E dopo? Dopo è uscito a torso nudo, non per fuggire, ma per andare al mare, o al cimitero dalla nonna, così, a caso. E allora io chiedo: basta un rimprovero per far scattare un omicidio? Basta una madre che dice “metti a posto la stanza” per finire massacrata? Davvero vogliamo normalizzare questa follia? Tutti siamo stati adolescenti, tutti abbiamo sbattuto porte, ridato “lasciami in pace”, tutti ci siamo sentiti incompresi, delusi, arrabbiati. Io con mia madre ci litigo da quando ho memoria, ma mai, mai, ho pensato di ucciderla. Quando sei adolescente puoi odiare il mondo, puoi piangere per una delusione, sentirti sbagliato, ma non per questo sogni di prendere un’accetta, e soprattutto non contro tua madre, quella che ti ha cresciuto, che ti ha portato nel grembo, che lavora per mantenerti, che magari ti sgrida, sì, ma anche ti protegge.
Allora no, non accetto più che si dica “poverino, era sofferente”, perché se un figlio si trasforma in assassino, non è colpa della madre, almeno che quest’ultima non sia un’abusante, e non è questo il caso. Non è colpa della scuola, non è colpa del mondo intero, è una scelta, è una responsabilità, e se poi si scoprirà una patologia, ci penseranno i periti. Ma ora, almeno ora, rispettiamo chi non può più parlare, non infanghiamo la sua memoria con il sospetto, non costruiamo attenuanti per chi ha tolto una vita, perché quando una donna muore così, non serve cercare colpevoli a caso. Tutti siamo stati adolescenti. Arrabbiati, persi, incompresi. Ma quanti di noi hanno mai pensato di uccidere qualcuno? Tantomeno la propria madre. La banalità del male si manifesta proprio qui: in un litigio, in un rimprovero che scatenano una violenza estrema, insensata, e auesto ci obbliga a riflettere su cosa abiti davvero dentro di noi, nelle ferite non curate, nei vuoti che non sappiamo colmare.
Ma non c’è spazio per giustificazioni, un figlio che uccide la madre ha fatto una scelta, e quella scelta ha distrutto una vita, una famiglia. Filippo avrà tutta la vita per rendersi conto dello sbaglio che ha fatto, per avere rimorsi e sensi di colpa. Per capire che uccidendo sua madre, ha ucciso anche una parte di sé, ma oggi è il giorno del dolore, il giorno in cui una madre non rivedrà più i suoi figli, anche quelli che non l’hanno uccisa, questo non dobbiamo dimenticarlo mai. Serve silenzio, serve rispetto, e serve giustizia.