Nel cuore di Trondheim, terza città della Norvegia, PoMo – Posten Moderne non è solo un nuovo museo d’arte moderna e contemporanea: è un gesto architettonico e sociale che rilegge il passato urbano per proiettarlo nel presente. Un esempio emblematico di come la cultura possa essere strumento di rigenerazione urbana e affettiva.
Indice
Un edificio simbolo restituito alla collettività
PoMo occupa lo storico edificio dell’ex ufficio postale centrale, un imponente manufatto in stile Art Nouveau progettato da Karl Norum nel 1911. Per oltre un secolo, fino al 2013, è stato il cuore pulsante della logistica cittadina: un luogo familiare a ogni abitante, in cui si ritiravano pacchi, si spedivano lettere, si prelevava denaro e si incrociavano generazioni.
Dopo un decennio di chiusura e trasformazioni interne adibite a uffici, il palazzo è ora tornato alla collettività. E lo fa con un’identità nuova ma coerente: non più un centro di distribuzione postale, ma un luogo di incontro culturale, con le stesse ambizioni civiche di un tempo.
Una soglia di vetro che invita a entrare
Elemento simbolico e funzionale di questa nuova veste è la porta d’ingresso progettata da India Mahdavi, che con questo progetto si è cimentata nella sua prima esperienza museale. Una membrana trasparente racchiusa da una struttura rosa collega la strada all’arte, eliminando barriere e rendendo il museo un’estensione del tessuto urbano.
Il vestibolo d’ingresso è accessibile, aperto a tutti, e offre una fruizione spontanea: si può entrare senza biglietto per prendersi un caffè, curiosare nel bookshop, sfogliare un libro o semplicemente aspettare un amico nelle fredde giornate norvegesi.
Solo al momento di salire verso le sale espositive si viene invitati ad acquistare il biglietto: un dettaglio che cambia la percezione di prossimità tra pubblico e istituzione.
L’architettura come narrazione inclusiva
Il progetto firmato da India Mahdavi, in collaborazione con l’architetto norvegese Erik Langdalen, non si limita a restaurare un edificio: reinventa il modo di viverlo. Ogni piano, ogni scala, ogni passaggio è pensato per essere un’esperienza visiva, sensoriale, cromatica.
Dagli scaffali color salmone del bookshop alla scala arancione che diventa un omaggio formale allo scivolo per pacchi usato un tempo: l’interior design diventa parte integrante della narrazione museale.
Langdalen, esperto in restauro e conservazione, ha saputo far dialogare la struttura originaria del 1911 con le esigenze museali contemporanee: controllo climatico, accessibilità, flessibilità espositiva. Il risultato è un equilibrio perfetto tra memoria e innovazione, in cui ogni intervento si integra al preesistente senza sovrastarlo.
Il rispetto per l’identità originaria è evidente: le colonne centenarie sono state mantenute intatte, mentre i pavimenti sono stati realizzati ispirandosi ai pigmenti storici: rosa, verde rame, accenni di giallo.
La stratificazione cromatica proviene da una lettura attenta della memoria materiale dell’edificio: la copertura in rame ossidato, le vecchie pareti verniciate, le superfici logorate dal tempo.
Il museo diventa così un dispositivo narrativo che gioca con l’idea di tempo, integrando ciò che era con ciò che sarà. Un esempio paradigmatico è l’uso di una semplice griglia di ventilazione come fondale per una delle opere chiave della collezione: la scultura Madonna dell’artista cilena Catalina Fritsch.
Le sale espositive e i “momenti cromatici”
Le sale espositive sono volutamente neutre, in tonalità chiare e linee essenziali, per lasciare spazio alla contemplazione delle opere. Tuttavia, Mahdavi ha introdotto “momenti cromatici” forti e gioiosi, per guidare il visitatore da un ambiente all’altro, trasformando ogni passaggio in un gesto di coinvolgimento emotivo.
Postcards from the Future: la prima mostra
Il museo ha inaugurato con la collettiva Postcards from the Future (15 febbraio – 22 giugno 2025), una mostra che racconta il passato, il presente e il futuro del museo attraverso una selezione di circa 100 opere. Una dichiarazione d’intenti più che un’esposizione: ogni sala è curata come una cartolina tematica, un frammento visivo che invita alla riflessione.
Verso Picasso (e oltre)
Ad agosto 2025, PoMo ospiterà una grande mostra su Pablo Picasso, che occuperà tutti e tre i piani espositivi: Pablo Picasso – The Code of Painting, dedicata all’ultima fase creativa del maestro spagnolo.
Curata da Dieter Buchhart e Anna Karina Hofbauer, in collaborazione con la Fundación Almine y Bernard Ruiz-Picasso, l’esposizione riunisce oltre 50 dipinti e 13 piatti in ceramica, provenienti da musei come il MoMA, il Musée Picasso di Parigi, il Louisiana Museum e l’Albertina di Vienna.
L’allestimento includerà installazioni site-specific, proiezioni, dibattiti e laboratori. Sarà un momento cruciale per testare la vocazione multidisciplinare e partecipativa del museo, e per affermare il suo ruolo nel panorama internazionale.
Un museo accessibile, vivo, cittadino
PoMo è interamente finanziato privatamente, senza contributi pubblici, ma aderisce agli standard internazionali dell’ICOM. Un museo privato, dunque, ma con un forte senso civico: aperto a tutti, accessibile ai disabili, gratuito per i minori di 18 anni.
L’accesso è stato pensato per abbattere ogni gerarchia culturale: si entra dallo stesso ingresso, si può semplicemente osservare, sostare, respirare arte. In una città piovosa come Trondheim, PoMo diventa anche rifugio urbano.
Situata alla fine del percorso museale, la reading room è concepita come un luogo in cui il visitatore possa “rallentare”. Un ambiente silenzioso, raccolto, dove il tempo dell’arte trova una coda contemplativa. Qui è possibile sedersi, leggere, ripensare alle opere viste, sfogliare cataloghi o semplicemente godersi la bellezza di uno spazio ben progettato.
PoMo non è solo un museo, ma una riflessione sulla funzione sociale dell’architettura. Riconnette la storia di un luogo al suo futuro, trasformando una vecchia infrastruttura postale in un ponte culturale tra generazioni, linguaggi e comunità.
In un momento storico in cui i musei rischiano di essere spazi autoreferenziali, PoMo dimostra che è possibile un altro modello: inclusivo, sensibile, aperto. Dove si può venire anche solo per aspettare un amico, e uscirne – magari – con un nuovo modo di vedere il mondo.