Colon irritabile: sintomi, cure e cosa mangiare

La sindrome del colon irritabile è un comune disturbo gastrointestinale che può compromettere in modo significativo la qualità di vita

Pubblicato: 17 Novembre 2021 11:32

Roberta Martinoli

Medico Nutrizionista

Dopo una Laurea in Scienze Agrarie e un Dottorato di Ricerca in Fisiologia dei Distretti Corporei, consegue una Laurea in Scienze della Nutrizione Umana e in Medicina e Chirurgia.

Cos’è

La Sindrome del colon irritabile (in inglese Irritable Bowel Syndrome o IBS) è un disturbo funzionale di non facile risoluzione. Cosa si intende per disturbo funzionale? Immaginiamo che una persona, afflitta da importanti e persistenti sintomi gastrointestinali, si rechi da un gastroenterologo. Questi, una volta raccolta l’anamnesi e fatto l’esame obiettivo, prescriverà una serie di indagini di laboratorio e strumentali (test di intolleranza al lattosio, screening per la celiachia, dosaggio della calprotectina fecale, ricerca del sangue occulto nelle feci, esame colturale delle feci, colonoscopia). Qual è il motivo di così tanto zelo? Bisogna in primo luogo escludere la presenza di malattie gravi quali:

Escluse queste malattie rimane il disturbo funzionale, legato cioè al cattivo funzionamento di un organo che, per tutti gli altri aspetti, risulta apparentemente sano. Fortunatamente di Sindrome dell’intestino irritabile non si muore. Sarà un po’ anche per questo che l’espressione “funzionale” è diventata ambigua e stigmatizzante e il colon irritabile è inquadrato, dalla gran parte dei clinici, come una malattia psicosomatica. La verità è che la Sindrome del colon irritabile sarà anche un disturbo funzionale ma chi soffre di questa condizione arriva a stare veramente male e sa, perché glielo ripetono in continuazione, che non guarirà mai.

I sintomi di questa condizione sono cronici e rappresentano un forte ostacolo allo svolgimento delle normali attività quotidiane con un impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti.

La Sindrome del colon irritabile è la malattia funzionale intestinale più diffusa nel mondo occidentale. Secondo i criteri di Roma IV (ndr. documento di riferimento per i clinici contenenti una serie di indicazioni utili a migliorare la diagnosi ed il trattamento dei Disturbi Funzionali Gastrointestinali) la sua prevalenza è dell’11,2%. Le femmine sono più colpite dei maschi (14,0% versus 8,9%) e l’esordio è giovanile. Di solito si tratta di una malattia autogestita perché medici di base e gastroenterologi, dopo aver fornito una serie di consigli utili, non sanno più cosa fare. Il paziente sente di non essere stato ben curato e comincia a farlo da solo.

Sintomi

La diagnosi è una diagnosi di esclusione e tiene conto dei criteri di Roma IV. Il sintomo cardine della Sindrome del colon irritabile è il dolore addominale ricorrente o il disagio intestinale (discomfort) presente in media almeno un giorno a settimana negli ultimi tre mesi o associato ad almeno due circostanze tra quelle citate:

La Bristol Stool Scale o Bristol Stool Chart o Scala delle feci di Bristol è uno strumento medico diagnostico creato allo scopo di classificare le feci umane in sette categorie che tengono conto della forma e della consistenza. Si parte dalla considerazione che la forma e la consistenza delle feci dipendono dal loro tempo di permanenza nel colon. Più il transito intestinale è lento e più il materiale fecale tende a disidratarsi. Ecco allora che le feci prendono l’aspetto del tipo 1 o 2 secondo la scala di Bristol: “palline dure, separate, come nocciole” e “come una salsiccia di palline dure” rispettivamente. Al contrario, quando il transito intestinale è accelerato le feci assomigliano al tipo 5, 6 e 7 della scala di Bristol: “pezzi molli con bordi ben definiti”, “pezzi lanuginosi con bordi non definiti con forma facilmente modificabile” e “feci liquide”, rispettivamente.

Sulla base della Scala delle feci di Bristol è possibile distinguere:

La diagnosi, come detto, è una diagnosi di esclusione. Bisogna accertarsi che la sintomatologia non sia da ricollegare a condizioni patologiche più gravi che, se non riconosciute e opportunamente trattate, possono avere un’evoluzione peggiorativa. Una volta escluse queste possibili condizioni non resta che la diagnosi di Sindrome del colon irritabile.

Il medico è abituato a ragionare in questi termini e passa in rassegna la sintomatologia al fine di escludere e/o approfondire le cosiddette RED FLAGS, i sintomi allarmanti:

Sindrome del colon irritabile o celiachia?

La prima condizione da escludere di fronte ad un quadro sintomatologico che potrebbe far pensare alla Sindrome dell’intestino irritabile è la celiachia. È stato dimostrato che nei pazienti con i sintomi tipici di un IBS il rischio di avere una celiachia è aumentato di ben quattro volte.

Possibili cause

C’è da chiedersi quali siano le cause di una condizione che da molti (addetti ai lavori e non) viene ancora considerata come una somatizzazione.

Forse, ogni volta, agiscono più cause contemporaneamente. E se queste sono le cause quali sono i fattori patogenetici che portano dalle cause alla malattia?

Le domande a cui rispondere sono davvero tante.

Cosa mangiare

Tutti i pazienti con Sindrome dell’intestino irritabile giungono a identificare gli alimenti che agiscono come fattori scatenanti dei loro disturbi. Cosa dice a tal proposito l’evidenza scientifica?

Mentre la presenza di vere allergie è una condizione rara, si potrebbe pensare ad una scarsa capacità da parte di questi pazienti di processare i carboidrati a catena corta. Si tratta di molecole a rapida fermentazione, che richiamano acqua dalle pareti intestinali e che pertanto possono essere importanti promotori dei sintomi dell’IBS. Vengono indicati con l’acronimo FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols) e tra questi vanno ricordati fruttosio, lattosio, fruttani, galattani. Allo stesso tempo i carboidrati non assorbibili (stiamo parlando delle fibre solubili ed insolubili) portano ad un aumento delle fermentazioni a livello del colon e ad un aumento del discomfort nei pazienti con problemi di motilità e di sensibilità intestinali.

Sindrome dell’intestino irritabile e microbiota

È stato dimostrato che gli eventi in grado di perturbare il perfetto assetto della flora batterica residente (quali gastroenteriti, uso ripetuto di antibiotici, terapie croniche con farmaci anti-infiammatori e inibitori di pompa protonica) precedono la comparsa di un IBS tanto da far pensare ad una relazione di causa-effetto.

La ricerca scientifica ha fin qui dimostrato che in chi soffre di IBS sottotipo costipazione si assiste ad un aumento dei batteri appartenenti al Phylum Firmicutes. Nei soggetti con IBS sottotipo diarroico crescono i Proteobacteria e diminuiscono Lactobacilli, Actinobacteria e Bacteroidetes. Ma del resto come potremmo pensare che un disturbo funzionale dell’intestino possa non aver nulla a che fare con il microbiota, al quale ultimamente è stata riconosciuta dignità d’organo? L’organo microbiota è in grado di condizionare lo stato di salute dell’intestino e dell’intero organismo, il più delle volte attraverso l’intermediazione del Sistema Immunitario.

Uno dei più studiati componenti microbici capace di scatenare una risposta infiammatoria è il lipopolisacacride (LPS). Un suo aumento modesto ma cronico, come conseguenza di uno stato di disbiosi (ndr. ovvero di un’alterazione della flora batterica) e dell’alterata permeabilità intestinale, è stato riscontrato in caso di Sindrome dell’intestino irritabile.

Anche la Western Diet (la tipica dieta occidentale costruita sul consumo prevalente di cibi industriali), particolarmente ricca in carboidrati. Questo modello alimentare fa sì che giornalmente raggiungano il colon dai 20 ai 60 grammi di carboidrati, i quali, subendo la fermentazione ad opera della popolazione microbica intestinale, generano diversi prodotti tra cui gli acidi grassi a catena corta (SCFs), la cui eccessiva produzione potrebbe essere concausa di IBS.

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